2014-01-23

Sumo

Pare che non siano tanti i giapponesi che abbiano visto il sumo dal vivo, ma la nostra professoressa di cultura giapponese, fan sfegatata di ogni aspetto della cultura tradizionale, martedì ha pensato di portarci a vedere una giornata di incontri al Ryōgoku Kokugikan, un'arena dove si tengono tornei tre volte l'anno, a gennaio, maggio e settembre. 


Non è ovviamente la stessa cosa guardare uno sport in televisione e vederlo dal vivo, soprattutto nel caso di uno sport così particolare come il sumo, che credo possa essere apprezzato in pieno solo dopo averne studiato l'origine e la ritualità. La tensione sale a livelli inimmaginabili: sono riuscita a diventare tifosa anch'io, che non mi appassiono facilmente allo sport.
Lo stadio è enorme, e noi avevamo i posti più in alto, quelli meno costosi, anche perché teoricamente ci trovavamo sul retro; fortunatamente abbiamo avuto lo sconto studenti, perché anche un posto del genere costa più di quaranta euro.


L'atmosfera che si respira fra il pubblico è informale: mi sono davvero sorpresa. I tornei durano una giornata intera, dalle otto di mattina alla sera (noi siamo andati nel pomeriggio verso le quattro), a partire dagli atleti più deboli fino a quelli più forti: il pubblico quindi non è tenuto a stare a sedere, ma sono tante le persone che camminano, conversano, escono per andare in bagno e per comprare il cibo. Seguendo il programma puoi sapere quando combatterà il tuo preferito, quindi non c'è da preoccuparsi. È stato proprio bello vedere le famiglie con i bambini inneggiare tutti insieme.
Mi piace molto questa concezione che i giapponesi hanno dell'intrattenimento, teatro compreso: anche nel kabuki gli spettatori bevono té e mangiano in sala e urlano il nome del proprio attore preferito durante la rappresentazione. È un concetto di spettacolo molto vivo.

Prima che il round di incontri cominci, gli atleti si presentano tutti insieme con indosso un drappo con il loro stemma, ed eseguono una sorta di danza rituale, seguita dall'apertura vera e propria, eseguita dalla yokozuna, cioè il lottatore più forte, il campione.
Poi gli incontri cominciano. Visto che il sumo è nato come pratica scintoista, gli atleti si purificano lavandosi le mani e sciacquandosi la bocca, come prima di entrare nei santuari. A quel punto cominciano a lanciare manciate di sale sul ring e a sollevare i piedi battendoli per terra: due pratiche scaramantiche e rituali per cacciare i demoni e richiamare la divinità. E per intimorire l'avversario: si tirano certe manate addosso che risuonano per tutto lo stadio.


Alla fine, i lottatori si posizionano l'uno davanti all'altro, piegati, pronti alla lotta...e di nuovo si rialzano, lanciano sale e si danno terribili pacche sulle cosce. Tutto questo per tre, quattro volte...fino a che entrambi scattano, e i due giganteschi corpi cozzano l'uno contro l'altro. In una manciata di secondi, uno dei due è a terra, oppure fuori dal ring e l'incontro è finito.


È una cosa indescrivibile la tensione che ho cominciato a provare nell'attesa di quella manciata di secondi in cui tutto si decide. Ci sono stati incontri in cui è finita davvero in un attimo, altri in cui la situazione si è ribaltata all'improvviso. Altri in cui sono stati proprio i lottatori a ribaltarsi, rotolando in mezzo al pubblico.
Mi sono divertita tantissimo. Ho anche trovato un'atleta che mi piace: un ragazzo di nome Endo, che sta velocemente salendo i ranghi dei lottatori, pur essendo talmente giovane da non avere ancora i capelli sufficientemente lunghi per raccoglierli sopra la testa. Ci sono anche molti lottatori stranieri, bulgari, egiziani, mongoli...
È stato un bel pomeriggio. Potrei davvero pensare di tornare a vedere il sumo questo maggio, magari standoci tutta la giornata. E magari mangiare il chanko, la tradizionale cucina dei lottatori...

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