2013-09-11

Waseda

Dopo aver dormito solo un'ora e mezzo l'altra notte, ieri sera sono crollata come una pera, finalmente, quindi non sono riuscita ad aggiornare. Ieri ero stanca morta ma mi sono forzata a stare sveglia tutto il giorno per riuscire a riprendere ritmi di vita normali.
La mattina ho fatto un giro nei dintorni. Il quartiere dove vivo, Nerima, mi sembra un po' la Campo di Marte di Tokyo (non-fiorentini, scusate il riferimento incomprensibile): è un quartiere residenziale tranquillo, pieno di alberi, mi ricorda un po' la mia casa.


Qua è pieno di ciliegi, in primavera sarà uno spettacolo bellissimo.
Dopo aver fatto un giretto e individuato i negozi utili (le librerie, i conbini e i negozi "tutto a 100yen") ho preso il treno alla stazione di Kami-shakujii per arrivare a Takadanobaba, la stazione più utile per arrivare all'Università di Waseda. Considerata l'estensione di Tokyo la distanza da percorrere non è molta, ma dal mio punto di vista è strano definire "vicini" due luoghi distanti quanto Campo di Marte e Scandicci.


Takadanobaba è già molto più affollata e "metropolitana". Anche gli stranieri sono tanti: rispetto a Kyoto i gaijin passano molto più inosservati. Mi è capitato comunque di scambiare sorrisi o qualche parola con altri stranieri, così, per solidarietà, e non solo con caucasici, anche con persone di colore: indipendente dalla "razza", una volta che ti rendi conto di essere una minoranza, cresce naturalmente il senso di aggregazione. Mi sembra una cosa molto interessante. Come se fra di noi ci dicessimo: "come te sono estraneo a questo mondo quindi siamo amici". E questo indipendentemente anche dal trattamento che ricevi dai giapponesi: ci sono molti asiatici che risiedono in Giappone, e in proporzione a loro e ai giapponesi i "non asiatici" sono davvero pochi, per questo ti sembra sempre di essere fuori posto, non perché veramente ti escludano o ti osservino come una bestia rara (anche se a volte accade). Passeggiando per il mio quartiere quando incontro le persone, soprattutto quelle anziane, ho preso l'abitudine di salutare o di sorridere, se i nostri sguardi si incrociano: ne ricevo sempre in cambio dei sorrisi bellisimi e accoglienti.
Alla stazione, mentre aspettavo la mia amica italiana, sono stata approcciata da un ragazzo giapponese (dico ragazzo, avrà avuto 35 anni, più o meno, anche se con i giapponesi non si sa mai). Distribuiva volantini dell'UNICEF, e dopo aver tentato di convincermi a fare una donazione mi ha detto che dovevo andare alla sua esibizione jazz domenica. Poi è tornato a dare volantini. Poi è tornato dandomi un foglio col suo nome di facebook e mi ha chiesto di aggiungerlo. Poi è andato via. Poi è tornato senza la divisa dell'UNICEF, mi ha regalato una bibita in bottiglia ("Avrai caldo, no?"), e mi ha chiesto il numero di telefono. La mia amica è arrivata appena in tempo.


Insieme siamo andate a vedere il campus dell'Università, anzi, uno dei campus, quello dove probabilmente faremo lezione. C'è davvero da tirarsela a essere studente di Waseda. A leggere la pagina di Wikipedia in proposito mi sono spaventata. Sembra di essere in una di quelle università inglesi o americane che si vedono nei film, c'è anche l'auditorium dei primi del '900 in stile finto europeo (ho letto che è ispirato al Palazzo Ducale e al Campanile di Piazza San Marco a Venezia...). Ha anche un motto! "Indipendenza nell'apprendere", mi pare appropriato per me. Sicuramente ha anche un inno <3 Nei negozi all'interno del campus vendono un sacco di articoli firmati Waseda, probabilmente fatti per far morire d'invidia i tuoi amici che non hanno passato il test di ammissione. Ci sono anche gli articoli realizzati in collaborazione con Hello Kitty, di cui ovviamente ho acquistato un esempio.


Dopo la visita al campus io e la mia amica abbiamo deciso che era giunto il momento di farci un'oretta di karaoke, distruggendoci le corde vocali. Anche questo mi mancava: avere una stanza per me, per cantare indisturbata insieme ai miei amici. Abbiamo provato a cantare "My heart will go on" in katakana, con la pronuncia giapponese, ma mi è venuto troppo da ridere, ho rischiato la morte da soffocamento.


Tornando a casa ho sbagliato direzione del treno ma fortunatamente ero ad una sola fermata dal capolinea e quindi sono tornata indietro. Ho fatto anche esperienza di telefonate. Telefonare parlando in giapponese mi mette molta più ansia che non il colloquio faccia a faccia. Qua in famiglia mi hanno prestato un cellulare da tenere finché non ne avrò uno mio, con i loro numeri da chiamare in caso di necessità.


Ho fotografato la cena anche ieri perché continuo a meravigliarmi della composizione dei pasti. A Kyoto vivevo da sola e passavo molto tempo con le mie amiche italiane: anche quando uscivo con i giapponesi mangiavamo sempre fuori. Per questo non ho tanta esperienza in cucina giapponese casalinga (che trovo ottima, tra l'altro). Continuo a non capire cosa posso mangiare con cosa. Ieri abbiamo mangiato il riso col cucchiaio.

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